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Traditiones Custodes

Il 16 luglio 2021 Papa Francesco ha pubblicato un documento che ha suscitato interesse e dibattito: riguarda la celebrazione della Santa Messa secondo il Messale anteriore al Concilio Vaticano II. Come purtroppo spesso accade, specialmente negli ultimi tempi, la Lettera in questione ha portato ad un dibattito che non considera i veri contenuti: viene impugnata per sottolineare divisioni sensibilità diverse. Papa Benedetto XVI, ormai 14 anni fa, aveva pubblicato la Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio “Summorum Pontificum”, nella quale si concedeva la celebrazione eucaristica secondo la forma antecedente al Vaticano II. Su questo punto è bene chiarire: non si sta parlando della “Messa in latino” o la “Messa celebrata con le spalle verso l’assemblea”: queste forme sono rimaste valide. La differenza è molto più sostanziale e riguarda testi, contenuti, modalità della celebrazione. Papa Francesco con la Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio “Traditiones Custodes” del 16 luglio c.a. pone delle norme molto più stringenti a quanto aveva concesso papa Benedetto. Il primo punto da considerare riguarda il tipo di documento e la sua origine: Francesco scrive con una Lettera “di propria iniziativa” (appunto “Motu proprio”) considerando una consultazione della Congregazione della Fede con i Vescovi di tutto il mondo durata oltre un anno. Ciò significa che Papa Francesco decide (si consideri che in nove anni di Pontificato ha scritto 46 Motu Proprio, nello stesso arco di tempo il suo predecessore ne aveva scritti 16) a partire dall’esperienza dei protagonisti della pastorale nelle diocesi di tutto il mondo. Nel documento – che viene presentato insieme ad una lettera indirizzata ai vescovi di tutto il mondo – papa Francesco sottolinea la sua preoccupazione riguardo agli effetti di un cammino iniziato oltre dieci anni fa ma che non ha dato i frutti sperati. Rivolgendosi ai vescovi – e alla Chiesa tutta – spiega come l’intento di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI era di offrire uno strumento normativo nei confronti di coloro che si avvicinavano alla celebrazione secondo il Messale del 1962. Si sono però creati gruppi chiusi che hanno favorito un atteggiamento “sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la “vera Chiesa”. L’intervento di Papa Francesco è quindi profondamente sinodale (coglie i contributi dei Vescovi) e nel contempo paterno: tanto il Motu proprio quanto la lettera accompagnatoria lasciano emergere la sua preoccupazione circa l’unità della Chiesa. La liturgia deve essere infatti espressione di unità della Chiesa, non di divisione. L’obbedienza, l’umiltà e il servizio ad essa, da parte di ciascun fedele, è proprio perché essa non è un’espressione della propria spiritualità o sensibilità, peggio ancora dei propri desideri. È espressione di una Chiesa orante. Dopo questo Motu proprio, sono quindi stabilite norme più restrittive per la forma straordinaria della celebrazione eucaristica (quinid secondo il Messale del 1962): sarà il Vescovo stesso a stabilire i presbiteri che la potranno celebrare, in quale luogo e frequenza. Francesco richiama quindi all’unità della preghiera della Chiesa. Francesco coglie però anche l’occasione per indicare che la Chiesa tutta deve attenersi alla giusta disciplina nelle celebrazioni: “mi addolorano allo stesso modo gli abusi di una parte e dell’altra nella celebrazione della liturgia”. Il Motu proprio e la sua lettera accompagnatoria diventano un importante contributo al cammino di ogni fedele. Il Papa, pastore della Chiesa universale, indica la strada per una liturgia che sia espressione di una comunità che prega all’unisono, che non soffoca le particolarità e le diversità presenti in tutto il mondo.

Emanuele Di Marco
Docente di teologia pastorale alla FTL