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Omelia di Mons. Vescovo per il XXI Convegno diocesano dei cori liturgici

Carissimi amici,

a prima vista, più che la musica, a farla da padrone nei testi di oggi è lo stridore del contrasto, la sgradevole e irritante dissonanza tra la ricchezza arrogante di colui che banchetta senza pensieri e l’indigenza estrema di chi langue alla sua porta.

Tuttavia, se guardiamo da vicino queste letture, non mancano gli spunti per approfondire, alla luce della Parola di Dio, il vostro impegno a servizio della liturgia.

Ci viene ricordata, anzitutto, l’esigenza di una coerenza esistenziale. Per cantare nella liturgia, infatti, non bastano la bella voce, l’abilità e la professionalità. La prima preoccupazione dev’essere quella della nostra vita. Anche gli “spensierati di Sion” e “quelli che si sentono sicuri sulla montagna di Samaria”, secondo il profeta Amos, hanno delle capacità musicali: “Canterellano al suono dell’arpa, come Davide improvvisano su strumenti musicali”. Sono bravi a intrattenere e a intrattenersi, ma sono lontani dalla storia, estranei alla vita vera, noncuranti della rovina dei più deboli.

È un primo riferimento importante. In chiesa non si canta per decorare, per riempire i vuoti, per far passare il tempo in maniera gradevole. La musica liturgica ha senso se fa crescere in noi l’attenzione verso l’altro, la compassione vera, l’indignazione per ogni ingiustizia. È la carità a rendere intonata la nostra voce!

Un altro elemento ci viene richiamato da una singolare insistenza dell’apostolo Paolo, nella seconda lettura. La professione di fede resa da Timoteo “davanti a molti testimoni” è in primo luogo “bella” e la sua bellezza è un riflesso, nella vita del discepolo, della “bella testimonianza” di Gesù Cristo “davanti a Ponzio Pilato”.

È questa la fonte a cui non dovete mai cessare di abbeverarvi, se desiderate dare freschezza e autenticità al vostro servizio nell’ambito della liturgia cristiana. La nostra vita, certo, non è sempre armoniosa e lineare. Non è sempre facile e senza contrasti. È una tensione permanente “alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza e alla mitezza”, a vincere con la fatica e lo sforzo la tentazione dello scoraggiamento e della rassegnazione.

Esiste, però, una linfa che non deve mancare a ogni nostro gesto. È quella che siamo chiamati a fare scorrere in noi, a partire dal nostro fare memoria della Pasqua del Signore, “fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo”.

Se il nostro cantare e suonare durante la liturgia non è in accordo profondo con la fede che professiamo e contemporaneamente con la testimonianza data pubblicamente da Gesù, consegnato per la nostra salvezza, anche la più grande professionalità musicale e canora sarà priva di quella qualità spirituale che realmente la rende servizio di Dio, celebrazione della sua gloria.

Infine, all’impegno della vita e alla dedizione della fede si aggiunge un ultimo elemento. È il nucleo essenziale della parabola raccontata da Gesù nel Vangelo: l’ascolto nell’ordinario della Parola che converte il nostro cuore a Dio. Nel ricco, finito nei tormenti, persiste una convinzione che merita di essere esplicitata. Egli ha l’impressione, come spesso l’abbiamo noi, che la parola di Dio consegnata nella Scrittura sia troppo debole e lieve per convertire il cuore umano. Mosè e i Profeti hanno una voce troppo sommessa per raggiungere e trasformare chi vive sommerso dai piaceri e dal benessere, “ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”.

Ecco l’illusione che occorre vincere! Non è vero che una manifestazione eccezionale potrebbe più facilmente distoglierci dalla nostra vita superficiale e distratta e rimetterci in contatto con la Sorgente di armonia che scorre nel profondo del nostro cuore. Per cantare e far salire a Dio la nostra lode, ci vuole l’orecchio allenato alla sua “musica silenziosa”, come dice San Giovanni della Croce. Siamo chiamati a esercitarci ogni giorno per cogliere la più piccola sfumatura della melodia divina, che risuona sempre, non solo nei giorni solenni e nelle occasioni fuori dal comune, ma anche nel grigiore e nella non appariscenza dell’ordinario, nelle attese, nelle speranze, nelle prefigurazioni appena abbozzate.

C’è il disegno di una precisa pedagogia che trapela dalle parole di Abramo; una successione di tappe per scuotere il nostro cuore di cristiani, intorpiditi e frastornati da tante cose che ottundono i nostri sensi e smussano la nostra capacità di percepire ciò che davvero conta: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”.

Una vera convinzione della fede in Gesù Cristo morto e risorto non si ottiene con le proclamazioni altisonanti e le dichiarazioni. Si nutre di silenzio, di preghiera, di ricerca paziente e perseverante. Possiamo essere persuasi dal Signore risorto solo quando avremo imparato ad accoglierlo fin dalle manifestazioni più umili della vita. Così chi vuole cantare bene e pregare due volte ha bisogno di un orecchio affinato e di un cuore sveglio.

Da qui il mio augurio per tutti voi: “Lodate Dio nel suo santuario, lodatelo in eterno”! Il vostro scopo non deve essere quello di riempire uno spazio altrimenti vuoto. Non schiacciate i partecipanti alla liturgia con l’esibizione della vostra bravura.

Ogni singolo membro dell’assemblea cristiana deve essere da voi accompagnato all’ascolto che cambia il cuore, lo sgombra dalle pesantezze accumulate in esso dalla paura e dal sospetto. Chi vi ascolta sia portato a scoprire che può unirsi ai fratelli e alle sorelle con il ringraziamento dei peccatori perdonati, con la lode gioiosa dei poveri, che per grazia si scoprono colmati dalla profusione dei beni della vita inesauribile.

+ Valerio Lazzeri,
Vescovo di Lugano

Morbio Inferiore, Santuario di Santa Maria dei Miracoli, 29 settembre 2019